L'oppio dei popoli

L'oppio dei popoli

INFERNO

Una musica di piano in sottofondo, profonda, sensibile lo rendeva leggero;  gli  occhi  puntavano  in  una  direzione  ma  alla  testa  arrivavano immagini recondite, pescate chissà dove nell’armadio della sua infanzia.
Era  giovane,  quattro  peli  sul  viso  ed  aveva  sogni.  Un  Siddharta  che ancora non aveva varcato le mura del castello, gonfio di ormoni e voglioso di vivere. Smargiasso tirava calci in culo ai cani che  gli  si  avvicinavano  scodinzolando  e  rideva  dei  loro  guaiti.  Rincorreva le ragazze, le avvinghiava, si strusciava ai loro corpi e puntellava le terga col suo sesso.
Poi una voce lo fece tornare cosciente.
«E’  difficile  accettare  le  sentenze  ma  possiamo  sempre  concludere nel migliore dei modi. Ne ho viste tante di persone passare di qui ma tu sei diverso. Nei loro occhi c’era la paura e io non  capivo.  Come  si  può  aver  paura  di  una  vita  migliore. Certamente non ti mancherà questo posto, la gamella, le scarse razioni, la monotonia, le umiliazioni e il dolore».
«Mio padre mi ha insegnato a soffrire e ho imparato molto bene; mi  avesse  insegnato  anche  ad  amare  forse  la  mia  vita  sarebbe  stata differente. Quindi non m’interessa la tua predica né quanta sofferenza c’è la fuori, perché so fare meglio. Mi basterebbe solo sentirti dire che non sei felice come vuoi fare credere».
«Felice?» 
«Sì, quella cosa che spacciate per felicità e dite di possederne la ricetta».
«Sento solo livore nelle tue parole. Faresti meglio  a  pentirti  e  cancellare  quel  sorriso  dalla faccia. Qui non c’è niente da sorridere». 
«Potrebbe  essere  un  sorriso  amaro.  La  beffa proprio nell’epilogo
«Che intendi?»
«Immagina che abbia capito ora cosa avrei dovuto  fare.  Non  sarebbe  tragi-­‐comico  aver trovato la soluzione a tempo scaduto? Mi  basterebbero  5  minuti  e  cambierei  il  corso delle cose». 
«Ah sì? E che faresti?» 
«Andrei  da  mio  padre  e  lo  prenderei  a  pugni in faccia». 
«Questo ti aiuterebbe?» 
«Certo,  gli  tirerei  giù  qualche  dente  in  modo da rovinare la sua perfetta dizione. Le  parole  verrebbero  distorte  dal  fischio  dell’aria tra dei denti mancanti. Un sibilo proprio  di  una  serpe,  di  un  essere  viscido come lui». 
«Tuo padre è la colpa dei tuoi mali?» 
«La genesi. E poi sai che soddisfazione vedergli perdere quella sua aria sicura del tipo “posso dire tutto quello che voglio perché tu sei  mio  figlio,  sangue  del  mio  sangue”.  Sangue  che  invece  estirperei a cazzotti in bocca. E poi lui era un prete come voi.» 
«Tuo padre? Un prete?» 
«Sì, un tunicato nel senso anche marino del termine: quegli esseri trasparenti che vivono sui fondali e sono ermafroditi. Così era mio padre,  un  prete  che  si  credeva  puro  ma  frequentava  ambienti  scuri, sporchi, e che voleva incarnare sia la figura paterna che quella  materna.  Mia  madre  non  esisteva  ai  suoi  occhi;  era  un  Giuseppe che aveva preso le parti di Maria e si era fatto l’arcangelo in maniera incestuosa. Non poteva nascere niente da quel  rapporto  sodomitico.  Invece  nacqui  io.  Mi  crebbe  in  una  campana di vetro col suo latte paterno. Ci sarà un motivo se ci attacchiamo ai capezzoli di una donna per crescere e non a quelli di  un  uomo.  E’  contro  natura  così  come  controversa  è  la  vostra  parola, il vostro credo impositivo». 
«Quindi è colpa nostra se ti trovi qui». 
«I vostri dettami sono polvere da sparo e voi siete i detonatori. Poi raccogliete le ceneri e ci pregate sopra, fottuti ipocriti». 
«Vedo che neanche in punto di morte riesci ad avere un minimo di  senno.  Non  è  mai  troppo  tardi  per  pentirsi  ma  penso  che  tu  creperai come un cane». oppio popoli
«Non è nemmeno troppo tardi per fare qualcosa di buono». 
Si  buttò  sul  collo  del  religioso  senza  dargli  il  tempo  di  reagire  e  con un morso gli strappò la carotide.  Una fontana di liquido carminio gli lavò la faccia e quando riaprì gli  occhi  il  religioso  era  per  terra  in  una  pozza  di  sangue  con  le  mani pressate sul collo.

PURGATORIO

Si  svegliò  all’interno  di  una  grotta  illuminata  da  un  debole  falò situato al centro. L’aria era densa di umidità e si respirava un odore dolciastro mischiato a zaffate di orina. Si girò e vide al suo fianco il religioso che si guardava attorno stranito.
«Dove siamo?» domandò il religioso.
«Bah, nell’aldilà suppongo; nel tuo famoso paradiso delle vergini. Ecco il premio del tuo buon Dio».
«Quello è l’islam».
«Come, il tuo Dio non annunciava un paradiso?»
«No intendo le vergini»
«Ahah…mi  pareva  strano.  Una  vita  di  costrizioni  e  ora  giustamente pensi alla figa».
«Com’è possibile che io e te siamo assieme? Che razza di posto è questo? Non può essere!» e ruppe in un pianto sommesso.
«Ahah…scusa  ma  questa  è  davvero  bella:  i  tuoi  dogmi  religiosi  sono serviti come un salvagente a un paracadutista…ahaha…puttana  eva,  adamo  e  tutti  quegli  stronzi  che avete creato. Dove cazzo è tutta sta gente nuda che scopa, e si bagna in ruscelli cristallini? ….Illusi». D all’altra parte del fuoco giunse questa secca risposta. Non si vedeva granché perché il falò era tenue ma si poteva intuire una sagoma. I due si alzarono e aggirarono il braciere in direzione della voce. 
Un  uomo  sulla  quarantina  con  capelli  lunghi e sporchi sedeva a gambe raccolte e schiena  appoggiata  alla  parete.  Vestiva  una lunga tunica consunta che una volta dove  esser  stata  bianca.  La  pelle  era  annerita e rugosa. L’unica cosa che rompeva  questo  quadro  avvilente  erano  due occhi ceruli inseriti in un viso scavato e  cadente.  In  mano  aveva  una  pipetta  di  legno con della stagnola alla fine del cannello. 
«Chi  sei?  Dove  siamo?  Che  succede?» domandò il religioso tremando con voce ansimante. 
«Uo uo» – fece pacato il tossico – «ferma la mula vecchio  bastardo.  Troppe  domande.  Siediti e aspetta il tuo turno, tanto qui non c’è un cazzo da fare e qui rimarrai». 
Si  portò  la  pipa  alla  bocca  e  aspirò  avidamente. Il braciere s’illuminò quindi sputò un denso fumo bianco.  Era  questo  l’odore  dolciastro  che  aveva  sentito al suo risveglio pensò l’uomo, che poi disse: «Quindi, questa è la morte?» 
Il  tossico  aveva  chiuso  gli  occhi  a  mezz’asta  e  inclinato  leggermente la testa come se fosse troppo pesante da reggere. Rimase  immobile  per  alcuni  secondi  poi  riaprì  lentamente  gli  occhi. Prese la pipetta e la passò al religioso che urlò e si ritrasse come se avesse visto un serpente a sonagli. 
«Ma che cazzo di problemi ha il tuo amico?» fece all’uomo. Poi rivolto direttamente al religioso disse pacatamente: «amico qui di gente con ritardi ce n’è a bizzeffe, vedrai che ti troverai bene». «Voglio uscire di qui!!!» urlò il religioso con panico crescente. Si aggrappò all’uomo. «aiutami!!! ti prego, voglio uscire!!!» 
«Bla bla bla…sono tutti così all’inizio. Bah, sto vecchio mi sembra anche peggio a dir la verità. Senti vecchio piagnone, o te ne stai qui  buono  ad  aspettare  il  tuo  turno  o  te  ne  vai  per  gli  infiniti  cunicoli ad incontrare altri sciroccati che come te si scervellano sino  alla  pazzia  per  trovare  un’uscita  che  non  trovano.  E  non  troveranno. Fuma e rilassati. Il tempo diventerà la tua ossessione se non ti dai una calmata». 
«Una  prigione.  Cioè,  mi  vuoi  dire  che  questa  è  una  sorta  di  prigione a cui siamo destinati per l’eternità ? e che cosa intendi per  “aspetta  il  tuo  turno”?» chiese  l’uomo  scostando  con  una  spallata il religioso che si era avvinghiato alla sua schiena. «e tu smettila di frignare. Tira fuori un po’ di testicoli se non ti si sono atrofizzati nell’altra vita».
«Ben detto amico». Sorrise il tossico sempre con calma serafica. «no,  non  esattamente  per  l’eternità.  Nonostante  la  vastità  di questo labirinto sotterraneo, ogni tanto qualcuno scompare e non se ne trovano i resti. Ora, è anche possibile che la gente si perda o cada in tunnel verticali, ma scompaiono anche le persone che stanno immobili come me. Quindi si suppone che tu venga prelevato e portato da un'altra parte».
«E come vi nutrite?» 
«C’è una sorta di passamano che non si sa da chi e dove cominci. Fatto sta che una volta al giorno ci arriva un pugno di riso e della carne  secca  all’interno  di  una  bisaccia.  Per  bere  ci  sono  invece  sorgenti sotterranee che affiorano in alcuni punti». 
«E il fuoco?» 
«Senti  cazzone,  mica  siamo  in  un  gioco  a  premi,  rilassati.  Avrai  modo di conoscere ogni centimetro di questo posto e i meccanismi  che  lo  regolano.  Ora  fumate  e  mettetevi  comodi,  meno casino fate qui dentro meno problemi ci sono per farvi restare. Prima fumate, prima la morfina farà i suoi effetti.» 
«Ma  io  non  voglio  restare!!!» gridò  frustrato  il  religioso «Non  voglio!!!» 
«E allora vattene affanculo e alla svelta, che di piagnoni casinisti non ne vogliamo qui attorno. Vai a cercare amichetti nelle scatole cinesi qui attorno. Ma dove l’hai trovato?»
«L’ho ucciso. E’ un prete». Disse l’uomo. 
Passarono i giorni e l’uomo perse la cognizione del tempo.

PARADISO

«Venite avanti».
I  due  si  guardarono  per un attimo, poi l’uomo avanzò verso la figura che li aveva chiamati.  Il  religioso  impaurito seguì da dietro,  sbirciando  alle spalle dell’uomo.
Si  trovavano  in  una  stanza completamente bianca  e  non  arredata. Una luce intensa  proveniva  da finestre poste in alto  dalle  quali  si intravedeva  solo  un cielo plumbeo. Un signore grasso e nudo era sdraiato su una sorta di  triclinio  e  si  massaggiava  la  pancia  come  se  avesse  mangiato  troppo, mentre un nano in pelliccia gli pettinava i lunghi capelli. «Gesù!!!»  fece  d’improvviso  il  religioso  quando  furono  più  vicini  alla figura. «Quello è Gesù, lo riconosco!!! Signore ti ringrazio per non  avermi  abbandonato!  Cominciavo  a  disperare». Corse  ai  piedi della poltrona e si inginocchiò platealmente. 
Se  quello  era  Gesù  doveva  essersi  lasciato  andare  dopo  la  sua  dipartita o i suoi discepoli erano stati magnanimi nelle descrizioni tramandate, pensò l’uomo. 
Gesù, o chiunque fosse, tirò fuori una sigaretta e l’accese. Diede qualche tiro circospetto e poi scaracchio per terra. Il nano corse verso il religioso ormai prono e gli sferrò un calcio in testa con i suoi  stivaletti  a  punta.  Il  religioso  si  buttò  a  terra  urlando  e  si  coprì la testa con le mani. 
«Lui  Grandissimo!  Tornare  tu  dietro.  Io  apre  te  culo  .  Lui  Grandissimo. Voi ascoltare. Io apre voi culo». 
«Ma che succede?! Gesù io sono stato un tuo seguace in vita! Ho seguito  i  tuoi  dettami!!  Perché  tutto  questo?»  Gridò  da  terra  il  religioso. 
Il  nano  si  gettò  nuovamente  sul  malcapitato  e  lo  prese  per  un  orecchio. 
«Lui Grandissimo! Te no parlare. Io fare culo te se no ascoltare». A quel punto il fantomatico Gesù si tirò a fatica a sedere e fece un cenno al nano il quale lasciò la presa e tornò a lato della poltrona: «Mio fratello, Gesù, è morto tempo fa e mi ha lasciato in gestione la  sua  terra.  A  me  non  frega  una  sega  di  voi  se  non  come  manodopera. Mio fratello era un sognatore, vi aveva attribuito più meriti di quelli che avevate. I risultati parlano chiaro e vi state estinguendo  da  soli  per  fortuna.  Sono  le  vostre  anime  che  rompono il cazzo. Io al paradiso non vi faccio avvicinare nemmeno da lontano e, Dio grazie, ho trovato uno scantinato in cui  schiaffarvi.  Mi  servite  solo  per  costruire  il  più  grande  muro  dell’universo. Fate talmente casino però che sono costretto a chiamarvi  a  turno  altrimenti  vi  pisciate  sui  piedi  l’un  con  l’altro.  Ma tutto è bene ciò che finisce bene. Una volta terminato il muro non dovrò più pensare a voi». 
L’uomo  che  fino  ad  allora  aveva  ascoltato,  ruppe  il  silenzio: «Giusto. La colpa non è dei ciccioni arroganti e nani alfabeti» si avvicinò al religioso e gli diede un pugno a mazzetta in testa con tutta la forza che gli era rimasta.

di Evangelista

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