Al check-in una guardia svogliata lo palpo’ senza troppa passione, dopodichè, senza dire una parola, mimò con la testa il gesto di proseguire e levarsi dalle scatole in fretta perchè il suo turno era appena cominciato e c’era tutta la nottata da fare.
Greco si ricompose e prese il bagaglio sputato dal nastro. Aveva le mani sudate. L’agitazione non era passata. Quelle pasticche di boto45 che aveva preso un’ora prima non avevano ancora fatto effetto.
Gliele aveva consigliate un amico veterinario. Si trattava di tranquillanti per cani. Roba naturale ma ad effetto garantito. Il veterinario ne aveva scoperto l’uso trasversale grazie alla moglie. Una sera, dopo essere rientrato a casa dal lavoro, aveva subito l’ennesimo attacco isterico della moglie che non sopportava animali per casa. Stufo delle lamentele, aveva trovato le pasticche per cani nel camice e le aveva sciolte nel bicchiere della moglie. Poi era andato a dormire. Lei l’aveva raggiunto dopo poco e avevano scopato tutta notte.
Greco ne aveva prese tre per stare tranquillo. Volare era una sua bestia nera e, con il lavoro che si era trovato, sarebbe divenuto routine. Quest’animale nero gli sarebbe stato col fiato sul collo ogni settimana e lui doveva in tutti i modi scacciarlo. Si era dunque iscritto a un corso “vola e sorridi”. Il corso consisteva in un mini-volo organizzato da persone competenti e specializzate che, con un lavaggio mirato di capo, ti facevano scendere dall’aereo sorridendo. Ciò che aveva colpito Greco era stato lo slogan:
“La morte fa paura ma la paura non ha scampo contro la conoscenza, quindi la morte ha paura. Vola e sorridi.”
Se in aereo era assolutamente vietato pronunciare la parola bomba, pronunciare due volte la parola morte in uno slogan contro la fobia del volo sembrava un’assurdità. Ma proprio questo l’aveva intrigato e aveva continuato a leggere la locandina promotrice. Il corso durava due giorni, uno di teoria e uno di pratica, con frequenza settimanale.
Con sua grande sorpresa aveva appreso però che il primo corso disponibile sarebbe stato due mesi dopo. Altre persone, nelle sue condizioni, l’avevano anticipato per mettere paura alla paura.
Greco aveva cercato di rinviare il viaggio di lavoro in tutti i modi ma di fronte ad una minaccia della direzione aveva chinato il capo e deglutito il rospo.
Non poteva giocarsi anche questo lavoro, per cui si trovava ad ingollare pasticche per cani fobici, nell’attesa del corso risolutore. Arrivò al gate e si sedette di fronte ai finestroni che davano sulla pista di decollo.
Fuori c’era un cielo cremisi che apriva le porte all’oscurità.
Pensò che Dio stesse preparando la brace per il pasto serale. Avrebbe cotto a puntino quella carne che sfidava le leggi di gravità e avrebbe succhiato prelibate coscette umane sputando gli ossi.
Gli esseri umani, creati per ozio, avevano reso le cose più semplici: Dio non doveva più chinarsi e raccogliere da Terra il cibo quotidiano; ora, questi emeriti deficienti si sollevavano da Terra su tubi d’alluminio per finirgli direttamente in bocca.
Cercò di scacciare dalla testa l’immagine di Dio seduto al tavolo, con un grosso bavaglio bianco e le posate già in mano. Dio sorrideva malizioso e sputava come un vecchio cowboy che mastica tabacco; da quando aveva creato l’uomo era ingrassato.
Forse quelle pasticche per cani avevano effetti allucinogeni pensò Greco.
Un distinto signore si sedette al suo fianco e mise una rigida 24ore marrone sulle ginocchia.
Fece scattare con i pollici le due serrature dorate e sollevò il coperchio della valigetta; estrasse una fiala marrone, spezzò il beccuccio e ne bevve il contenuto, poi si girò verso Greco:
“Il mio strizzacervelli dice che questa roba mi ucciderà. Io dico che sarà lui a morire se non continua a prescrivermene” e scoppiò in una fragorosa risata.
“Mi scusi, mi fa troppo ridere l’idea di quella checca che urla mentre gli stringo le palle e gli punto un coltello alla coscia. Sa che se viene recisa l’arteria femorale si muore dissanguati in pochi minuti?”
Greco osservò con lentezza l’eccentrico signore dal linguaggio colorito. Il boto45 era definitivamente entrato in circolo e si sentiva la testa molle. Questi vecchi signori azzimati che girano per aeroporti pensando che gli altri siano ansiosi di ascoltare le loro storie, lo infastidivano.
“No. Non ho conoscenze mediche sull’apparato circolatorio ma lo terrò a mente la prossima volta che sua moglie mi mordicchia l’inguine”. L’elegante signore mutò espressione e digrignò in tono minaccioso:
“Senti stronzo, modera il linguaggio o ti ficco la testa nel culo in modo che poi venga cagata vista la quantità di merda che contiene!”. “Lei ha seri problemi e il suo strizzacervelli dovrebbe aumentare le dosi”.
L’elegante signore avvicinò la bocca all’orecchio di Greco:
“Non credere di passarla liscia, stronzetto. Gli sbruffoni come te sono quelli che più mi stimolano”. Poi chiuse la valigetta, si alzò e si diresse all’imbarco.
Greco aveva gli occhi pesanti. Si era sorpreso della spontaneità con cui aveva risposto. La droga dei canidi lo aveva disinibito e reso più sciolto. Chi era quel vecchio che si permetteva di dare confidenza e parlare in quel modo? Ben gli stava se qualcuno gli rispondeva per le rime.
Forse questo boto45 era la soluzione, pensò. Avrebbe avuto meno remore nel dire in faccia alla persone la verità e si sarebbe liberato di tanti rospi che abitavano la sua cavità orale. Addirittura lui e il suo amico veterinario potevano creare una start-up con queste pillole. La panacea del ventunesimo secolo: pastiglie di sincerità.
Mentre era intento a sognare fasti e glorie del suo futuro, l’hostess annunciò l’ultima chiamata per il suo volo. Si alzò a fatica e con gli occhi a mezz’asta si diresse al gate. Per fortuna il tunnel portava direttamente dentro l’aereo. Aveva bisogno di sedersi perché le gambe lo reggevano a stento e muoversi era divenuto difficile. Salutò con indifferenza l’equipaggio di bordo che lo attendeva al varco e si sistemò nella prima fila libera che incontrò. Si sedette vicino al finestrino ed appoggiò la testa alla fusoliera. Aveva gli arti intorpiditi e non riusciva a tenere gli occhi aperti. Decise che era inutile resistere e si abbandonò ad un sonno profondo.
Si svegliò di soprassalto.
L’aereo sobbalzava violentemente e si sentivano grida isteriche. Il torpore che aveva sin lì avvolto il suo corpo era scomparso di botto. Udì la voce meccanica del comandante che annunciava un atterraggio di emergenza.
“Signori restate calmi e seguite le procedure richieste. Non sarà un motore in avaria che mi porterà al Creatore; morirò come mio padre: in un letto”.
Scese un silenzio insano, interrotto solo da singulti e dal rumore dell’aria contro la carlinga.
Solo a quel punto si accorse che, seduto al suo fianco, vi era il signore distinto che lo aveva minacciato poco prima. Non aveva più l’aria spavalda mostrata nella sala d’attesa, la faccia era paonazza ed era in uno stato di iperventilazione quasi fosse prossimo a scoppiare.
Le hostess e lo steward avevano legato il culo ai sedili e cercavano di sorridere. Neppure un passeggero con un principio di infarto li avrebbe fatti alzare.
Il peggio era il giovane steward seduto di fronte a Greco. Ad ogni sobbalzo dell’aereo spalancava gli occhi come se soffrisse di ipertiroidismo per poi tornare ad abbozzare un sorriso. Più che sorrisi erano smorfie. Il suo cervello era attraversato da scariche di adrenalina che gli impedivano di mettere in pratica le regole base di un buon assistente di volo. Mai dare segnali di panico di fronte ai clienti. Sarebbe stato come iniziare a correre di fronte a un cane rabbioso.
Greco si augurò che lo steward non avesse studiato nella stessa scuola che organizzava i corsi “vola e sorridi” e cercò di mettere in pratica quei pochi insegnamenti base carpiti dalla brochure.
Il primo insegnamento recitava: nei momenti di panico, distrarre la mente.
Chiuse gli occhi e si tuffò nel substrato corticale. La prima cosa che apparve fu un liquido giallo opaco. Il liquido giallo si muoveva come se subisse le turbolenze esterne dell’aereo. All’interno di questo liquido salmastro galleggiavano oggetti non definiti. Greco si concentrò e mise a fuoco.
A ben guardare si trattava di pezzi di carota e patate. L’odore fu poi inconfondibile: brodo. Stava nuotando nel brodo. Ora ne avvertiva anche il calore. Ogni tanto incontrava una bolla d’olio di colore più vivo. Il brodo era viscoso, simile ad un mare il cui fondale sabbioso era stato smosso e sollevato.
D’improvviso questo brodo torbido scomparve e Greco aprì gli occhi.
Sentì un odore strano. Si voltò e vide il signore seduto a fianco con l’uccello in mano che se lo menava. Rimase impietrito. Il signore piangeva ad occhi chiusi e muoveva con insistenza la mano sul pene. Provò a scuoterlo ma un’altra forte turbolenza li fece sobbalzare.
Avevano iniziato la discesa ad una velocità che sembrava folle. Anche se l’odore emanato era fastidioso, se questi erano gli ultimi attimi di vita, non aveva senso preoccuparsi della masturbazione pubblica di quel deviato. Forse proprio per questo il signore aveva deciso di dedicarsi alla cosa che più lo aveva appassionato in vita.
Richiuse gli occhi e tornò ad immergersi nel brodo. Ora l’odore non era più di brodo vegetale ma era diventato più forte, quasi fosse brodo di agnello o capra. Probabilmente il glande del suo vicino stava influenzando il sapore del brodo. Cercò di allontanare l’odore spingendosi più a fondo, nella parte più scura del liquido. Arrivò sul fondale e vide un tombino aperto. Vi entrò. Nel nuovo ambiente il brodo di capra era sparito. Si trattava di una stanza in cemento grezzo senza finestre. Nonostante l’assenza di pertugi e di fonti luminose la stanza era illuminata. Una luce si diffondeva dall’alto ma lasciava metà del corpo avvolta nell’oscurità. Era come guadare un fiume di petrolio. Vedeva solo il suo stomaco mentre il resto era avvolto da una fuliggine scura, buia. Provò a toccarsi le cosce ma non sentì nulla. Ritirò di getto le mani da questa nube scura in cui le aveva infilate. Provò a camminare ma non vi riuscì. Era immobilizzato. Poteva solo girare su se stesso. Lo fece, di 180 gradi, e trasalì. Si trovò di fronte il signore elegante. Aveva in mano un coltello a doppia lama che brandiva con sguardo vendicativo. Emise dei grugniti e sferrò due coltellate verso le gambe di Greco.
Quest’ultimo provò a gridare ma dalla bocca non uscirono suoni. Non sentiva dolore ma era terribilmente spaventato. Provò a toccarsi nuovamente le gambe ma ancora una volta non sentì nulla.
Guardò le mani per assicurarsi che non fossero macchiate di sangue. Nel momento in cui girò i palmi per controllare, notò che sulle mani non c’erano tracce di sangue ma un liquido albuminoso opalescente.
Sperma.
Aprì gli occhi e vide che l’elegante signore aveva sborrato.
di Evangelista