Arrivammo a Bilbao nel tardo pomeriggio.
Il Veneziano guidava il gruppo vacanze, con l'entusiasmo di un Ersilio davanti ad un bicchiere di vino bianco frizzante.
Dopo aver appoggiato le valige in albergo, il Veneziano aveva sfinito i coglioni a tutti per scendere in calle a bere e fare serata.
Io mi defilai e li raggiunsi in calle con un paio d'ore di ritardo, sperando che l'adrenalina del nostro traghettatore fosse scemata.
Il gruppone era intento a ciarlare e trangugiare canas davanti ad un baretto del centro storico di Bilbao.
Mi avvicinai e vidi in un vicoletto, staccato dal gruppo, il Veneziano che confabulava con due locali. In quale lingua comunicassero era un mistero ma una parola si ergeva su tutte:
Lo siento.
Bofonchiava di continuo questa parola.
Lo siento? Ma che cazzo dice, pensai tra me e me.
Li guardava dritto negli occhi e con un sorriso da mezzo scemo, battendosi la mano sul petto, ripeteva come un disco incantato “lo siento”.
De che?
Vidi gli occhi dei locali perdersi e rispondere con cenni imbarazzati.
Era convinto che per parlare spagnolo bastasse buttare qualche lettera a caso nell'italiano e il suo lo siento, accompagnato dal gesto eroico del pugno sul petto, indicava un senso di appartenenza alla popolazione del luogo, che stava ad indicare un “Grazie, apprezzo la tua terra e anch'io condivido gli ideali di indipendenza basca, io ti sono amico”. Non so dove si fosse documentato ma questo era più o meno il senso del suo parlare. Un secolo di battaglie nazionaliste e indipendentiste racchiuse in un misterioso “lo siento”.
Il Veneziano ciondolava. Era marcio, questo era sicuro.
Barcollando si diresse verso di me, mi salutò con un abbraccio pesante, di persona che fatica a trovare un equilibrio e proseguì attaccando pezze ad altri convenuti del luogo.
Che cazzo sta combinando? - Chiesi ad un amico.
Indovina? Sta cercando la fumella. - Rispose.
Ma non riesce a stare un giorno senza? Ci facciamo arrestare?
Ma no, tranquillo. Il Veneziano ha già abbottato i coglioni a tutto il locale e si è fatto degli amici.
Si batteva di continuo il cuore con il pugno al grido di lo siento.
Boh, incomprensibile.
Poi si fermò da un nigeriano mastodontico che, stranamente, tra un lo siento e l'altro sembrava capire il linguaggio del Veneziano.
Il nigeriano invitò a seguirlo in un vicoletto buio.
Alè ci siamo, pensai. Mo' lo pesta.
Il Veneziano si divincolò come un'anguilla dalla morsa di Africa e tornò velocemente verso di noi. Pensai che un barlume di ragione gli fosse rimasta, invece prese il più grosso del nostro gruppo e lo trascinò seco.
Il Veneziano, Africa e il Grosso si allontanarono dal baretto e si persero nel buio.
Pensai al peggio, poi mi calmai, il Grosso avrebbe sicuramente trovato un feeling col bel ragazzo africano.
La serata stava scivolando nell'alcol e mi ero quasi dimenticato dell'accaduto quando li vidi tornare sani e salvi. Salvi e basta, perché il Veneziano biascicava in maniera orrenda. Il Grosso mi spiegò che il bel pusher li aveva portati sotto un ponte che attraversa il fiume Nervion. Lì, gli aveva detto di aspettare e si era allontanato per recuperare l'hashish. L'attesa si era prolungata e il Veneziano si era fatto prendere dal timore, lo stesso timore che aveva quando vedeva le forze dell'ordine. Il Grosso, nonostante il fascino del bell’africano, aveva nasato odore di imboscata perciò erano tornati in fretta in strada, lasciando l'Africa al suo destino.
La manovra poteva funzionare, se non fosse che il Veneziano era tornato sul luogo di partenza, un po' come l'assassino che torna sulla scena del crimine.
Vidi il nigeriano arrivare bello incazzato, cercando con lo sguardo l'italiano che l'aveva turlupinato.
Mi girai verso il Veneziano che era impallidito e dissi:
“C’è il tuo amichetto, Mister T, e mi sembra pure bello gonfio di violenza. Mo' è il momento di tirare fuori il tuo cavallo di battaglia della lingua castigliana.”
Il Veneziano cercò riparo dietro il Grosso. Il nigeriano incazzato disse in slang da ghetto: “Tu, bocchini mamma. Tu via. Ora compra. Dammi money. Vaffanculo”.
Il Veneziano già capiva poco di suo, ora era completamente andato nel pallone.
Adesso che avrebbe potuto sciorinare i suoi “lo siento” non lo faceva.
Cazzo, dì “lo siento”. E non batterti il cuore.….a quello ci pensa Africa.
La situazione stava degenerando e il Veneziano era in catalessi. Un tempesta violenta si stava abbattendo sulla laguna.
Come nelle classiche storie arrivò il colpo di scena che ribalta la trama.
Un gregario del gruppo, altro noto fumatore incallito, tirò fuori un ventello e lo sventolò in faccia al nigeriano, in segno di pace.
Come un secchio d’acqua in un cestino in fiamme, sull’Africa scese la quiete. Prese i soldi ancora bello furente, rifilò due misere canne al gregario e se ne andò lanciando improperi al Veneziano.
Il Grosso commentò l’abbigliamento del bell’africano e disse che vestiva in maniera deliziosa.
di Evangelista