Lesbodramma
Mi sono resa conto del fatto che mi piacciono anche le femmine a cinque anni. Lei si chiamava Veronica ed io non volevo giocare con nessun altro. Ancora oggi mi chiedo quale sia stata la caratteristica che mi fece innamorare: a lei non importava dei miei vestiti rattoppati, della terra sotto le mie unghie o del fatto che volevo adottare una famiglia di lombrichi come animali domestici. Ricordo che quando, tutta fiera, andavo dalle altre bambine con un invertebrato tra le mani loro se la davano a gambe levate urlando: "Che schifo! La Franca è proprio un maschiaccio! Fa vomitare più di Marcolino!" (Il suddetto era quell'essere mitologico, presente in ogni classe che si rispetti, il quale si scaccolava con una inquietante dovizia. N.d.a.).
Veronica, invece, rideva sempre; anzi, le si illuminavano gli occhi alla vista dei miei allevamenti di animali incompresi e mi aiutava a scegliere i loro nomi. Aveva i capelli ricci, dello stesso colore del grano che cresceva nei campi in cui correvo tutte le estati ed era l'unica altra bambina dell'asilo che conosceva tutte le parole di "Bella Ciao". Decidemmo di sposarci nella casetta dei giochi, il giorno in cui scoprì che avevo insegnato al mio merlo indiano a fischiettare "Bandiera Rossa". Ero innamorata e felice ma, come si può facilmente intuire, non durò e Veronica iniziò ad uscirsene con le solite frasi fatte del tipo: "Non mi va di giocare a palestinesi contro israeliani, ho mal di testa." oppure: "Oggi non riesco a passare all' allevamento di lombrichi, io e Filippo proviamo fino a tardi per la recita."
Ero giovane ed ingenua e mi illusi che fosse solo un periodo: forse lo stress per l'imminente consegna dei lavoretti di Natale o la pressione del dover impersonare Maria alla recita più sentita dell'anno scolastico me la facevano apparire fredda e distaccata. Sfortunatamente, una uggiosa giornata invernale, accadde il peggio: avevo fatto tardi a scuola ed immagino che Veronica avesse dato per scontato che quel giorno non sarei andata, perché la vidi mano nella mano proprio con lui: Filippo... Quel damerino!
Lo odiavo: le uniche motivazioni che gli avevano fatto vincere il casting per il ruolo di Giuseppe alla recita sulla Natività erano gli occhi azzurri, il fatto che era biondo ed aveva il pistolino. In cuor mio, però, sapevo che a fianco di Veronica dovevo starci io e che la famiglia tradizionale poteva andarsene a fanculo. Nonostante fossi livida di rabbia, feci finta di nulla per tutta la mattinata e le chiesi spiegazioni solo poco prima di sederci a tavola per pranzo, ma l'unica cosa che riuscì a dirmi mia moglie fu: "Scusa, Franca, ma era soltanto una fase: ora so che mi piacciono solo i maschi." Per me fu un colpo al cuore, ma rispettai i suoi sentimenti.
Il mio amico Mattia si impegnò a farmi superare la delusione a suon di tacchette in bici e gare di sputi, ma ormai era troppo tardi. Il cuore spezzato agevolò le pressioni della società ed io mi convinsi del fatto che la mia attrazione verso le persone del mio stesso sesso fosse sbagliata; infatti per i venticinque anni successivi continuai a ripetermi che le femmine erano tutte stronze, la figa faceva schifo ed io dovevo accontentarmi di avere relazioni romantiche esclusivamente con i maschi, finché...
Una sera d'estate mi ritrovai con gli amici di sempre a lamentarmi dell'ennesima storia finita male con un cretino che non mi aveva fatta raggiungere l'orgasmo manco per sbaglio in quasi un anno di relazione.
Loro, ovviamente, mi prendevano per il culo perché solo una stronza come me poteva essere così sfigata: "Frà, se ti va male con tutti gli uomini che incontri, non sarà il caso che riprovi la figa?" "Stai zitto, Mattia che poi se le scopa tutte lei!".
Mentre tornavo a casa non smettevo di chiedermi se avesse ragione lui: magari l'unica cosa che avevo sbagliato nella mia vita sentimentale era proprio il negarmi che mi piacessero le ragazze. Mi accesi una canna e per la prima volta in vita mia scaricai una app d'incontri. Un paio di giorni dopo mi ero accordata con una ragazza per vederci e fare due chiacchere: le piaceva camminare nei boschi, la birra ed i fumetti, aveva i capelli colore del grano ed io, ovviamente, avevo già altissime aspettative.
Alla nostra prima uscita si presentò ricoperta di piccoli lividi sulle braccia e le gambe, sembrava le avessero sparato con una pistola a pallini, e quando le chiesi cos'era successo mi raccontò di essere stata attaccata da un gallo. Alla seconda uscita la portai in uno dei miei posti del cuore: un baraccio di un paesino fantasma frequentato solo da vecchi ed ubriaconi e lei lo adorò. Alla terza uscita bevemmo per ore raccontandoci di tutto e, finalmente, ci baciammo: ero al settimo cielo e non smettevo un secondo di guardarla, nemmeno mentre facevo retromarcia per uscire dal posto in cui avevo parcheggiato, ed infatti, presi in pieno un palo.
Inutile dire che sprecai le bestemmie, ma lei mi rassicurò dicendo che aveva già tirato su altre ammaccature e che a casa aveva l'attrezzo giusto, così l'accompagnai. Dopo cinque minuti era fuori dal portone e reggeva tra le mani uno dei dildo più grossi che avessi mai visto: con una naturalezza che non scorderò mai attaccò la parte con la ventosa all' ammaccatura, prese l'asta con entrambe le mani e tirò forte: la macchina era come nuova.
Nella mia testa iniziarono a susseguirsi le inmmagini del nostro primo viaggio insieme, dell'anello di fidanzamento che le avrei regalato, del nostro matrimonio e dei bellissimi bimbi asiatici che avremmo adottato insieme ma... Lei scoppiò in una sincera risata e disse: "Non vedo l'ora di raccontarlo a Monica!" "Monica? Ma la tua coinquilina non si chiama Silvia?" Lei si fece seria e tacque per una decina di secondi: "Te l'avrei detto alla prossima uscita, giuro... Monica è la mia fidanzata." L'unica cosa che riuscii a dire fu "Ah, ok. Sono contenta per te." Mi chiese se ci fossi rimasta male, io non risposi e lei capì che non ci saremmo più viste.
Quella sera tornai a casa in lacrime, con una ammaccatura in meno sulla macchina, una storia in più per farmi deridere dai miei amici e l'incrollabile certezza che allora era tutto vero: la figa fa schifo e di quelle stronze con i capelli color del grano non ti devi mai fidare.
di Franca Lame