Jean Alesi

Jean Alesi

Jean Alesi

Era l’epoca di Jean Alesì, quello stronzetto francese dalla rrrr, che correva con la Ferrari. Io ero giovane. Se la figa era lontana come l’America, l’indipendenza economica era la luna. Squattrinato e segaiolo me ne andavo in giro col mio amico Steve (che qui chiamerò Giorg per riserbo).
Insomma, io e Giorg cazzeggiavamo da duri per il paesello, anche se non ci s’inculava neppure di striscio. Eravamo giovani e imberbi però il mondo era bello. C’era il metal e il metal ci bastava. Il cuoio, il nero, i diavoli, i caproni, l’incazzatura, i capelli lunghi, gli anfibi, le magliette sudate, l’alcol, i rutti e la puzza. Tante cose che ora mi mancano, ma soprattutto quell’atmosfera in cui non me ne fregava un benemerito di Jean Alesì e della Formula Uno.
Però allo zio di Giorg sì, e se la sborava quando si presentava gonfio come un piccione con due biglietti per il Gran Premio di Imola, uno per Giorg e uno per me. In realtà, lo zio di Giorg, era pure mio zio perché aveva ficcato la sorella di mia madre complicando i gradi di parentela. Erano biglietti di un certo livello, tribuna Vip, tribuna stampa, o qualche menata del genere, per cui valevano denari. Ed era qui che subentrava la nostra passione per la Formula Uno. Ogni anno facevamo tappa al Gran Premio per vendere i biglietti come bagarini da quattro soldi. Il problema era che senza un pelo in faccia e vestiti con panni ginnici, dovevamo svenderli per trovare qualche anima pia che si fermasse anche solo ad ascoltarci. Ma a noi fregava il giusto perché ce li facevamo bastare quei denari.
Quell’anno, io e Giorg, provammo a vendere come di consueto i biglietti ma c’erano serie difficoltà. Un po’ la timidezza, un po’ il metal che non ci rendeva appetibili e soprattutto quell’anno, lo zio sboratore aveva portato due miseri biglietti per la Variante Alta.
La Variante Alta, ma chi cazzo la conosce la Variante Alta. Giorg era incazzato, aveva gli occhi pesanti e lo stomaco un po’ scombussolato. Decise che quell’anno saremmo andati a vedere quella merdata di gara ma prima si fermò per un cappuccino e una pasta alla crema. In lontananza sentivamo il rombo delle vetture che transitavano alla Rivazza. Per arrivare alla Variante Alta, bisognava fare parecchia strada a piedi e si passava davanti casa di Ighina.
Magari non tutti sanno chi è Ighina, ma Ighina era un vecchio scienziato pazzo che abitava dentro il circuito di Imola e si rifiutava di abbandonare la sua casa per quelle stupide macchine. La storia di Ighina mi ha sempre affascinato perché era un mezzo genio mezzo scemo che nessuno s’è mai cagato. Diceva di aver lavorato con Guglielmo Marconi.
Conobbi la storia di Pier Luigi Ighina un giorno, durante uno zapping televisivo. Stavo procedendo veloce tra un canale e l’altro quando sentii la voce di Iovene, quel giornalista di Report. Mi ricordo di Iovene perché un giorno andai a Roma con Pizza e dormimmo in un appartamento che Iovene subaffittava, in nero, ad una ragazza che conoscevo.  Quella notte Iovene non era in casa e Pizza si mise le sue ciabatte e dormì nel suo letto. Ad ogni modo Iovene stava intervistando un vecchio scienziato. Il vecchio ripeteva “..ma io sono della Lega perché se ne frega”. Stavo per cambiare canale alle stronzate del vecchio, ma l’assurdo affascina. Il video era corredato di sottotitoli perché il vecchio smascellava e si mangiava metà delle parole. Poi mi accorsi che aveva pochi denti. Sosteneva di aver inventato la macchina della pioggia e poteva dimostrarlo. Iovene tra un jammebbello e un vattinne, aveva un tono tra il serio e il faceto “ ah, e chista è la macchina de cuanno chiove?”. Ighina mostrò un’elica piantata nel terreno e disse che quell’elica, girando in senso antiorario, avrebbe spazzato le nuvole dal cielo. Fatto sta che dopo una mezzoretta Iovene inquadra il cielo che, da nuvoloso, aveva iniziato a schiarirsi “eh…tanto l’aria s’à da cagnà”..ripeteva esterrefatto il giornalista. Ighina poi mandò tutto in vacca perché volle esagerare: un anno disse che un bigliettaio non lo aveva fatto entrare al Gran Premio e allora lui, per ripicca, aveva fatto venir giù il diluvio universale tanto da interrompere la corsa.

"Giorg era incazzato, aveva gli occhi pesanti e lo stomaco un po’ scombussolato. Decise che quell’anno saremmo andati a vedere quella merdata di gara ma prima si fermò per un cappuccino e una pasta alla crema."

Col mio amico Giorg arrivammo alla Variante Alta ed entrammo. Appena varcato l’ingresso Giorg disse che doveva andare al cesso. Lo vidi allontanarsi lentamente con le mani che premevano sullo stomaco e una faccia tirata. Ad un certo punto prese la corsa e si buttò giù per un rivone, verso i bagni. Dietro di lui, si mise a correre uno di quegli steward dal giubbetto arancione. Giorg sentiva gridare da lontano ma l’impellenza era troppo urgente per voltarsi. Scansò un gruppo di persone e come uno slalomista si gettò nella porta del bagno. Trovò un gabinetto libero e chiuse la porta dietro di sé. Non fece in tempo a calare completamente i pantaloni, che una cannonata di merda a spruzzo dipinse il muro dietro al water. Un olezzo terribile si levò nell’aria. In quello stesso istante sentì picchiare alla porta: “Apri!!!! Apri!!!” gridava una voce ansimante “ Fammi vedere se hai il biglietto!!!!”. Giorg aveva i calzoni calati, l’aria era irrespirabile, il muro colava merda e uno sconosciuto stava tempestando la sua porta. “Un attimo!!!!” Gridò. “Occupato…occupato!!!!!”

“Fammi vedere se c’hai il biglietto o butto giù la porta! Fammelo vedere!!!”

“Sto male, sono in bagno…”

“Non me ne frega niente!!!fammi vedere il biglietto!!!!!”

“Ma non riesco ad aprirle!!!”

“Passamelo da sotto la porta!!!”

Giorg senza una logica ma pur di liberarsi di questo paranoico insistente, passò la matrice del biglietto sotto la fessura della porta.  Ci fu il silenzio.

Intanto il cesso era diventato una camera a gas. Cercò la carta igienica ma naturalmente non c’era. Utilizzò un fazzoletto usato che aveva in tasca per pulirsi alla bell’e meglio e tirò lo sciacquone. Non servì a nulla perché tutto era ancora lì, sul muro. L’ossesso che urlava era sparito e vide che la matrice del biglietto era stata restituita da sotto la porta.

Fanculo, pensò.

Aspettò qualche minuto poi aprì la porta. Fu come aprire le finestre durante un incendio dove l’ossigeno alimenta le fiamme. Un capannello di persone stava aspettando il proprio turno e con gli occhi sbarrati videro il dipinto dietro a Giorg. Poi, come un calcio in bocca, arrivò il tanfo di merda e si sollevarono imprecazioni. Giorg buttò giù la testa e corse fuori.

Pensai e ripensai a questa storia e giunsi alla conclusione che quello steward doveva essere lo stesso che non aveva fatto entrare Ighina quella volta.

di Evangelista