Il milione (seconda parte)
La congrega si era radunata in riva al mare per abbassare l'eccitamento causato dall'alcol e dai soldi facili. Spendere denaro a cazzo e bere forte era un mix micidiale anche per un monaco di Tibete, figuriamoci per ragazzi con un autocontrollo limitato. Jason aveva svaccato e straparlava in maniera confusa. Le parole uscivano distorte dalla sua fornace. Per fortuna la moglie chiamò al cellulare e, dopo essersi accorta dello stato imbarazzante in cui versava il marito, spense una volta per tutte l'hybris di Jason, riportandolo alla crudele realtà fatta di doveri e preghiere.
Decisi di farmi un bagno, anche perché le canne del Veneziano avevano iniziato a spegnere le connessioni neurali. Era un continuo rollare di spinelli con frasi pronunciate a cazzo ma con maestria, tipo: “Tutti dicono che la figlia di Melle era una gran figa... io non me la melle da nessuna parte”.
Raggiunsi a nuoto Pozza, il macellaio che stava sicuramente orinando vista la fissità e lo sguardo torvo. Pozza era un violento di origini calabro/francesi. Il nonno era emigrato dalla Calabria e aveva trovato fortuna come costruttore nel Corno d'Africa. Pozza era uno capace di gettarti nel lago di Galliano per 1.500 lire. Era ancora incazzato con me perché, sotto pressione, avevo erroneamente acquistato un biglietto per i Chemical Romance in luogo dei Chemical Brothers. Pozza mal sopportava le feste e quando fui vicino mi disse: “Vai affanculo te, e quel deficiente di Alex. Io me ne vado”.
Ritornai a riva dopo un tempo indefinito. L'effetto della ganja era svanito e potevo riprendere una conversazione pseudo-normale senza ritardi nelle risposte o confusione mentale. Trovai i ragazzi distesi dove li avevo lasciati. Nel frattempo avevano continuato a fumare forte. Il Veneziano ripeteva, come un mantra, frasi del tipo “Le bimbe sono massicce. Questa è la Sed. Sed, Sed, Sed.”
Era molto difficile trovare un senso logico a tutto questo e fu qui che il grande Met si alzò e, senza proferire parola, si diresse furtivo verso gli stabilimenti dove nel frattempo erano iniziate le feste. Provai a rincorrerlo ma Met era un solitario e soprattutto non voleva testimoni.
Met era uno tipo taciturno e uno sportivo: da giovane aveva vinto una corsa ciclistica da Fratta a Teodorano battendo Pozza in volata. Un'altra volta aveva causato un rigore e l'allenatore se l'era presa erroneamente con Pozza, suo compagno della difesa. Met era rimasto in silenzio e aveva continuato a giocare.
Oltre allo sport, Met amava i coca e rum. Era uno dei pochi che ancora riusciva a bere coca e rum.
Tu andavi al pub e ti facevi un panino e una birra, Met niente, ti guardava e stava in silenzio. Poi a fine serata, prima di andare via, si faceva un coca e rum, e tu dicevi : “Ma Met, dobbiamo andare a casa”. E lui non è che ti rispondesse “Ma non mi rompere il cazzo, vatti a casa che io mi finisco il drink”; no, lui ti guardava e accettava il destino. Faceva un cenno del capo e trangugiava, con evidente sforzo, il suo coca e rum nel minor tempo possibile.
Ricordo quella volta in cui Met si presentò al bancone del bar del Kojak, ordinando da bere. Fu la stessa sera in cui il cognato di Ego, ubriaco fradicio, minacciò Alex che, per assurdo, aveva cercato di difenderlo dai buttafuori.
Comunque, Met si presenta al bancone del bar, e con voce sottile, ordina un Lieutenant. Il Barista, un povero contadinotto di provincia, chiede di ripetere.
Met, sempre con voce sommessa, ribadisce: “Un Lieutenant”.
Il barista non capisce : “Un Liu....? “
“Un Lieutenant” dice Met.
Il barista si spazientisce e controbatte: “Senti, io non so cosa sia quella roba lì. Noi abbiamo un Montenegro, del Bayleis, della Vodka o limoncello. Cosa vuoi?
“Un Lieutenant”.
Insomma, a Met era salita la voglia di fica e se l'era andata a cercare. Io tornai dai ragazzi e feci notare che la serata era iniziata e che potevamo raggiungere Met. “Ma kenne sappiamo noi, eh? Kenne sappiamo?” rispose il Veneziano. Era impossibile intavolare un discorso compiuto, mancavano le basi della grammatica in quei momenti.
Decidemmo per la dispersione. La dispersione era una tecnica utilizzata da Ivanne ad Amsterdam per andare a troie: senza dire che andava a troie ad un certo punto del giorno ci ordinava la dispersione. Noi non capivamo. “Basta! dispersione. Ci ritroviemo (inflessione barese) qui tra un’oretta”.
“Ma perchè?” chiedevamo ingenui.
“Perchè mi avete rotto il chezzo”.
Ci ritrovammo a mezzanotte davanti la macchina di Alex. Eravamo fradici ma felici.
“Alex portaci a casa”, ordinò il Veneziano.
“Ma devo veramente guidare? È la mia festa e sicuramente sono sopra il limite consentito”.
“Chez toi”, disse Pizza in francese (appreso dal nonno), “Andiamo”.
“Ma aspettate, dov'è Met?” Chiesi.
“Met si farà bastare il mensile, che è ampio.”
“No, ragazzi, manca Met, mica possiamo lasciarlo a piedi!!!” dissi, cosa che in realtà avevo già fatto in passato.
“Lo telefono”, disse il Veneziano.
“Ah, lo telefoni?”risposi.“
"..Pronto, Met, cazzo, dove sei??” ..silenzio, rotto solo da un respiro affannoso...
“Met, puttana eva, dove cazzo sei??”.
...silenzio, poi una voce flebile: “arrivo”.
“Ma dove arrivi che non sai neanche dove siamo?”
..”Arrivo”...poi la linea cadde.
Riprovammo a chiamare ma il telefono ora era spento.
"Era molto difficile trovare un senso logico a tutto questo e fu qui che il grande Met si alzò e, senza proferire parola, si diresse furtivo verso gli stabilimenti dove, nel frattempo, erano iniziate le feste."
Mio cugino, un fanatico dei bitcoin e del Manchester City, visto che aveva la macchina, si offrì di aspettare Met e riaccompagnarlo a casa.
Alex mise in moto ma si voltò subito perchè intravvide il Veneziano nel sedile posteriore che si era acceso uno spinello e scaccolava sulla tappezzeria.
“Ma no, cazzo, questa è la macchina aziendale!”
“Ci sta, lo devi accettare”.
Alex arrivò a fatica a Forlì. Non per i noti problemi alcolemici, ma perchè il Veneziano aveva continuato a fare buchi sui sedili e Zed, seduto proprio dietro di lui, aveva puntato i piedi sul sedile anteriore e pompato per tutto il viaggio la schiena del povero Alex.
Scaricò il bestiame nel parcheggio dell'autostrada e prese il telefono. Vide che c'era un messaggio da leggere. Si trattava di mio cugino che aveva aspettato Met fino alle 3 e poi, non avendo avuto notizie, se ne era andato e l'aveva lasciato a piedi a Marina di Ravenna, in balia degli eventi.
Alex provò subito a chiamare il cellulare di Met ma era ancora staccato. La prolungata assenza, il telefono spento e la tappezzeria bucata non facevano presagire nulla di buono.
Fine seconda parte.
di Evangelista